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Con Andreotti è veramente finita la Prima Repubblica
Politica, cambia tutto per non cambiare nulla
La Prima Repubblica è veramente finita con la morte di Giulio Andreotti. Per tanti anni si è creduto che nel 1994 fosse cominciata la Seconda ma in realtà si è solo trattato di una lunga, penosa e tragica agonia della Prima. La Seconda non è ancora cominciata. Erano solo venute a mancare tutte le più importanti energie vitali che avevano condotto l’Italia fuori dalla tragedia della guerra portandola, a metà degli anno ’80 ai vertici dell’economia mondiale, mentre erano esplose tutte le contraddizioni prodotte da una classe politica assolutamente degradata. Chi mai avesse letto della “maledetta stirpe dei Martense” nel racconto di H. P .Lovecraft “La paura in agguato”, può rendersi meglio conto del concetto.
Giulio Andreotti, anche se nella presunta Seconda Repubblica non aveva quasi avuto alcun ruolo, rappresentava la continuità dalla Costituente in poi. Era entrato in Parlamento nel 1946, a 27 anni, e subito era diventato il Sottosegretario alla Presidenza di Alcide De Gasperi. Una vita alla Camera e un’altra al Senato.
Gli ultimi due “grandi vecchi” della politica italiana non hanno avuto la sua “costante presenza”: Giorgio Napolitano venne eletto solo dalla II Legislatura (saltando la Costituente, la I e anche la IV), Emilio Colombo, l’ultimo costituente, ha saltato perché al Parlamento europeo la XII e la XIII Legislatura. E così… « molte cose che non avrebbero dovuto essere dimenticate andarono perdute».
Adesso le cose sono definitivamente cambiate. Sono accaduti fatti assolutamente incredibili a cominciare, anche se nulla ha a che fare con la politica, dalla presenza di due papi in Vaticano.
Ma la cosa più importante è che, alla fine, Enrico Letta sia riuscito a formare un governo che, a prima vista, appare molto migliore di quanto fosse lecito temere nella situazione che si era venuta a creare.
Non è possibile sottovalutare la presenza di Emma Bonino, il significato anche simbolico della scelta di un ministro nato in Africa, confermato dalla tempestività con la quale Borghezio ed altri mentecatti si sono subito affrettati a definirla volgarmente come una «scelta del c…», lo spessore di figure come Saccomanni e Moavero. Bisogna poi dare atto ad Enrico Letta di esser riuscito, in una situazione certo non facile, ad evitare abilmente i diktat che provenivano da tutte le parti.
Non c’è dubbio, però, che adesso ci si trovi nella condizione anomala di una democrazia rappresentativa in cui non esiste una opposizione sostanziale e credibile, o quella in cui la gran parte delle forze di opposizione non si riconoscano nelle regole del gioco democratico, o tendano ad utilizzarne le aperture per scardinarle nell’intento di pervenire a forme politiche ben diverse dalla democrazia rappresentativa e parlamentare.
Nella storia delle democrazie moderne, vi sono stati casi nei quali si è governato senza opposizione: tale fu il Governo di Unità Nazionale britannico tra il 1940 ed il 1945; o, più vicini a noi, i primi tre governi presieduti da De Gasperi tra il dicembre 1945 ed il maggio 1947 e, più avanti, il “Governo di Solidarietà Nazionale” del 1976.
Ma si trattò di governi nati per fronteggiare emergenze nazionali che riguardavano la stessa sopravvivenza fisica del Paese, o quella delle sue Istituzioni.
Oggi siamo di fronte ad un Governo che vede insieme quelle che in precedenza erano state maggioranza ed opposizione, chiamate sì ad affrontare questioni istituzionali di grande portata, ma soprattutto chiamate ad affrontare la gravissima emergenza economica e sociale di un Paese che si è “fermato”.
E, se è vero che i due schieramenti che sino a poco tempo si combattevano possono convergere sulle riforme istituzionali, a condizione che non si pretenda di stravolgere il quadro di una Costituzione democratica, e che possono convenire sulla necessità comune a tutti di far ripartire l’economia, non è detto che altrettanta convergenza possa manifestarsi anche nel ripartire pesi e costi e, quando una ripresa vi sarà, nel distribuirne i benefici.
Il punto è proprio questo: bisogna riuscirvi ad ogni costo.
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