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Il blues più sporco e ruvido è degli “Oswald Black Banda”
C'è una nuova realtà musicale nata tra Catania e la Capitale che da qualche anno scorrazza in lungo e in largo per le città italiane portando in giro il suo carico di micidiali sonorità: si chiama Oswald Black Banda e fa capo al romano Guido Jandelli e ai catanesi Emiliano Cinquerrui e Salvo Fallico. Il nome dovrebbe già darvi qualche indizio perché in effetti il nero non è solo quello della sigla ma è anche e soprattutto quello del blues più sporco e ruvido che sia possibile immaginare e da cui la band attinge a piene mani. Immaginate per un attimo gli Stati Uniti del sud, metteteci dentro Tom Waits, Johnny Cash e tutta la cultura nera che pulsa a partire da New Orleans fino al resto del mondo, e il gioco è fatto.
Sabato 22 marzo la piccola banda nera ha offerto il suo magnetico show al pubblico catanese in una location alquanto insolita come la Ciclofficina, nello storico quartiere di San Berillo. E così, su uno sfondo di cerchioni, telai, manubri e biciclette appese in ogni dove, Jandelli e compagni hanno dato il via, senza troppi complimenti, ad un’ora di performance, immergendo i convenuti in una fumosa e fragorosa bettola di New Orleans pervasa dai miasmi sulfurei di un country-blues ruvido e selvaggio. La voce di Jandelli in particolare, costantemente distorta da un filtro al microfono (per essere, se possibile, ancora più incattivita) sorprende per la sua timbrica roca e scura da vero bluesman consumato, sostenuta qui e là da invasate movenze a tempo. Gli fanno eco la chitarra elettrica di Salvo Fallico, che spara un riff dopo l'altro che colpisce e affonda meglio di un'arma da fuoco, e le indemoniate percussioni di Emiliano Cinquerrui, che percuote due grancasse con due piccole maracas creando ritmiche a dir poco vertiginose.
Per una sera gli Oswald Black Banda, che di stoffa ne hanno da vendere, hanno dunque trasformato Catania in una chiassosa cittadina del Mississippi dove ciò che conta è solo l'anima vibrante di una musica ribelle ed errabonda.
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