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Un'ossessione femminile che torna prepotentemente in auge

Sua maestà lo stiletto

Uno dei must have della nuova stagione calda

È un antico vezzo, tipicamente femminile, quello di sembrare più alte di quanto realmente si è, di sfidare la forza di gravità, di recuperare quei dieci centimetri che madre natura non ha dato.
Una ossessione femminile che, con la nuova stagione calda, torna prepotentemente in auge. Lo stiletto, in versione culturale, è infatti uno dei must have della nuova stagione calda. Anche chi è poco incline a svettare su un tacco dieci o dodici, non potrà più farne a meno.
Un distinguo, tuttavia, è d'obbligo: le dècolletè con stiletto devono essere rigorosamente artigianali e di produzione italiana.
I creativi di calzature hanno preso, come si suole dire la palla al balzo, facendo leva sul loro talento per dar vita a calzature dalle forme bizzarre. Ma non solo, aiutandosi con i materiali più disparati: legno, bambù, plexi. Anche le decorazioni non sono da meno: c'è chi ha scelto lo smalto e chi le pietre.
Una storia quella dello stiletto e dei tacchi, in particolare, che comincia tanti anni fa. Si narra che i primi tacchi vennero usati nell'antico Egitto e, a farne uso, non furono le donne, come si potrebbe pensare, ma gli uomini.
I primi ad usarli furono i macellai egiziani per innalzarsi sopra il sangue delle bestie uccise.
Testimonianze dei tacchi si hanno anche in epoca mongola. I condottieri fedeli a Gengis Khan utilizzavano rialzi variopinti per tenersi ben saldi alle staffe.
I primi modelli scultorei, dopo quelli decorativi delle matrone romane e di Caterina De' Medici, vennero indossati da Luigi XIV che li fece intagliare con scene di battaglia.
Ed è proprio alla corte di Re Sole che gettano la sguardo gli stilisti dei giorni nostri.
I soggetti ovviamente sono un tantino diversi; dove c'erano eserciti inferociti, oggi ci sono cromature di automobili (Prada), intrecci di plastica da bar di provincia (Dolce & Gabbana), rossetti o farfalle (Alberto Guardiani) e c'è persino chi li ha declinati in versione rock (Max Kibardin). Ognuno, insomma, ci ha messo qualcosa di suo.

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