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Emanuela Trovato e Rossana Veracierta splendide protagoniste di una pièce ambientata nel Seicento dei Viceré alla Sala Musco
Le intime confessioni di due novizie si gustano nel buio di una Notte Segreta
Da sinistra Rossana Veracierta ed Emanuela Trovato
Una “Notte Segreta” scandisce il suo tempo con le confessioni di due giovani novizie. Una veglia funebre a due suore - due sante - diventa l’occasione ultima per giocare e rievocare i motivi “di forza” che le hanno costrette in quel convento delle Clarisse. Per Conforto, interpretata da Rossana Veracierta, è la punizione della sua famiglia, caduta in disgrazia, nel non aver accettato la mano di un vecchio possidente. Per Emanuela Trovato, sul palco Assunta, è la liberazione da quel padre, rimasto vedovo, che la pretendeva come sposa.
Una notte che racchiude un segreto, che verrà svelato solo con le ultime luci di scena, e alterna sul palco, come in un crescendo, paura e coscienza della morte e poi gioco, confessione, racconto, ironia e divertimento. Persino gocce di sensualità che le due bravissime interpreti, dirette da Francesco Randazzo, regalano al pubblico con la dolcezza e l’ingenuità di due giovanissime donne nel periodo dell’Inquisizione, nel Seicento dei Vicerè.
La scena è essenziale, tre panche ricoperte da un tessuto nero e la figura stilizzata delle due suore da vegliare: anche loro nere salvo un velo di pizzo che le copre sul davanti. Anche i costumi sono essenziali, due tonache bianche che si potrebbero confondere con due vesti da notte e le tipiche cuffiette candide, appunto, da novizie.
«Il racconto è ambientato nel XVII secolo - spiega l'autore e regista Francesco Randazzo - e le due giovani novizie delle Clarisse della Consolazione sono sottoposte a un duro rito iniziatico e penitenziale di mortificazione della carne: devono pregare e vegliare due vecchie monache morte in “odore di santità”, i cui corpi sono messi a sedere accanto a loro per spurgare i loro liquidi organici: un’antica usanza imbalsamatoria di cui esistono tutt'oggi testimonianze in varie località del Meridione, da Palermo a Ischia (e persino a Trecastagni, nda). Le due innocenti e “irresistibili” ragazze si domandano il perché del loro destino, chiuse al buio, o peggio al riverbero delle luci che entrano dalle feritoie o che provengono da flebili torce e lumi, con le ombre spaventose e tremolanti come sfondo e le morte a far da compagna».
Eppure la gioventù che Conforto e Assunta rappresentano e che anelano, anche al buio di quel Convento che mai avrebbero voluto, non rimane nascosta. Esplode dalle preghiere recitate in latino - a cui faceva eco una parte del pubblico - e dai tradizionali cunti che ripetevano con le movenze sceniche dei pupi.
La pièce andata in scena alla sala Musco per “L’isola del teatro” ha visto solo tre giorni di spettacolo e forse avrebbe meritato di più. Un testo snello nei suoi 75 minuti, accattivante e, nella sua prigionia, persino solare. Ma è la scena finale che vi raccomandiamo, per dare allo spettacolo, prodotto dalla compagnia siracusana “La bottega del pane”, l’epilogo che mai avreste immaginato.
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