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Il scena al Teatro “Angelo Musco” di Catania la Vertigine del Drago scritta da Alessandra Mortelliti
La “Vertigine” di Riondino contro violenza e pregiudizi
Michele Riondino durante un momento della messa in scena (Foto Giacomo Cannata)
Bello, bravo, affascinante. Michele Riondino ha tutto per catalizzare l’attenzione del pubblico con la grazia dell’attore senza nessuna sbavatura e la sapienza di una regia che ha colpito nel segno. “La Vertigine del Drago”, andato in scena al Musco di Catania, inquieta e ammalia ma di certo non lascia indifferenti: scritta da Alessandra Mortelliti e diretta da Riondino, per la prima volta in questo ruolo, trasporta lo spettatore in una in una messa in scena visionaria e molto fisica: «Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. L'animale rapace, libero e dominatore, deve brillare ancora dai suoi occhi. I giovani debbono imparare il senso del dominio. Debbono imparare a vincere nelle prove più difficili la paura della morte».
È la storia di Francesco, un naziskin alle prime armi, che durante un agguato in un campo Rom rimane gravemente ferito, e per tentare di mettersi in salvo prende in ostaggio Mariana, una zingara zoppa ed epilettica.
Francesco è un ragazzo rozzo e violento, pieno di pregiudizi e luoghi comuni che lo portano a maltrattare e inveire contro la povera donna la cui colpa è soltanto quella di appartenere a una cultura diversa dalla sua.
Mariana è una giovane donna romena, sola, apparentemente fragile e disadattata, che si ritrova a dover subire le violenze fisiche e psicologiche del suo rapitore.
Relegati in un angusto garage, in attesa della telefonata da parte dell'Ordine per ricevere istruzioni sul da farsi, Francesco e Mariana sono costretti a una convivenza forzata che attraverso racconti e flashback porterà alla luce l'unico filo conduttore che unisce i due personaggi: l’“Infelicità”.
Alessandra Martelliti, reduce dal successo della sua prima pièce teatrale "Famosa", e Michele Riondino, uno dei migliori attori italiani della nostra generazione, hanno dato vita a quel sentimento di forte rabbia che provano due ragazzi traditi dalla vita, abbandonati a se stessi, senza prospettive, uniti da una voglia di riscatto che li porta a ribellarsi, ognuno a suo modo, al loro triste destino.
Seppur ricco di scene estreme e dialoghi forti, l'accento "romanaccio" di Francesco e la goffaggine della buffa Mariana smorzano un po’ i toni rendendo lo spettacolo godibile. I due giovani protagonisti sono senz'altro riusciti a mettere in scena una realtà forte con una naturalezza tale da portare il pubblico ad instaurare una sorta di legame "affettivo" con i personaggi suscitando sentimenti di compassione e comprensione.
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