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Dopo 20 anni di immobilismo qualcosa si muove
La politica italiana si dà una mossa?
Matteo Renzi
Prescindendo dalle valutazioni di prospettiva politica in senso stretto e di tecnica istituzionale, l’approvazione della legge elettorale Berlusconi-Renzi, nel metodo seguito, nei contenuti, nelle finalità dichiarate e non, nei seguiti già annunciati, rappresenta il punto di compimento tradotto in forma istituzionale, di una trasformazione culturale e politica che ha radici lontane, e che ha pervaso una larghissima parte della società italiana.
Di questa trasformazione, la versione berlusconiana della destra italiana è stata il naturale interprete, ma le sue radici sono ben più antiche, e possono esser fatte risalire al sostanziale conservatorismo di larghi settori della borghesia italiana, che non hanno mai conosciuto Max Weber, che hanno sempre fatto dell’opportunismo la propria bussola politica, della confessione la propria bussola morale.
Queste sono andate via via affermandosi come una risposta grossolana alle difficoltà ed alle complessità della politica, mutuando criteri di valutazione e metodologie tipici del mondo dell’impresa, per applicarli alla sfera delle decisioni pubbliche, nella presunzione che i criteri di efficienza delle scelte politiche possano coincidere con quelli delle decisioni privatistiche.
L’esercizio della democrazia presuppone l’attitudine al dubbio, al considerare non irrilevanti le molte variabili indotte da diversità di interessi, punti vista, credenze, attitudini; presuppone il considerare irreversibile la trasformazione del suddito in cittadino che si è andata affermando in secoli di lotte; la presenza di corpi politici intermedi tra la sfera individuale e quella delle istituzioni; la presenza di poteri in grado di interagire tra di loro e di controllarsi reciprocamente; la presenza di un saldo impianto di regole e garanzie a tutela non solo della possibilità di governare, ma soprattutto dei diritti dei più deboli e delle minoranze; e, ultimo, ma non meno importante aspetto, presuppone che i diritti di alcuni, sia pur formalmente sanciti, non siano svuotati da preclusioni in termini di bisogni materiali e non, di accesso alle informazioni ed al sapere, di mancanza di mobilità sociale.
La democrazia, come ogni altra forma politica, presuppone una classe dirigente, anzi, deve formarla; ma quando le élites si trasformano in casta chiusa ed autoriproducentesi, la democrazia si trasforma in feudalesimo.
La democrazia è quindi un meccanismo articolato, complesso, e dinamico, che non perdura senza che la politica intervenga con continuità ad assicurarne il funzionamento, e senza che sappia interpretarne e gestirne la complessità. Tutto ciò, a partire dal lento declino della Prima Repubblica, è stato messo in discussione e contraddetto, appunto, dalla profonda trasformazione culturale che ha investito il Paese.
Troppo a lungo si è pensato di non dover fare i conti con un mondo che stava cambiando e con il venir meno delle certezze del ventesimo secolo. Troppe volte si è agito con supponenza, pensando di aver sconfitto il “nemico”. Troppo a lungo si è pensato di poter vivere di rendita sull’antico patrimonio di consenso elettorale e sociale. Troppe volte si è pensato di poter neutralizzare la destra evitando, per pura opportunità, un confronto di idee e prospettive. Troppe volte ci si è divisi in incomprensibili dispute che di politico avevano solo l’apparenza; e spesso, neanche quella. E, soprattutto, troppe volte sono stati posti in atto comportamenti che rispondevano unicamente a prospettive individuali o tribali.
Con la Seconda Repubblica, venuto meno l’argine costituito da partiti politici che, per quanti difetti potessero avere, avevano comunque trovato il loro carattere in culture politiche riferite a visioni complessive ed articolate di una società complessa, si è affermata la forma di partiti che non sono né partiti di militanti, né partiti di opinione, ma semplicemente partiti-contenitore e partiti-persona, tenuti insieme da relazioni di interesse e di opportunità. A gruppi dirigenti costruiti nelle battaglie politiche, dotati di indubbia statura intellettuale, si sono, nel corso degli anni, sostituiti leaders inamovibili incapaci di valutazioni che andassero oltre il ristretto orizzonte delle opportunità immediate per il proprio clan, ed incapaci di guardare invece alla società nel suo complesso. E la politica, distaccatasi per un verso dalle concezioni politiche, e per l’altro dal confronto razionalmente empirico con la realtà, si è ridotta a gioco indifferente, la cui posta, pur prescindendo da degenerazioni riguardanti il Codice Penale, non era l’interesse comune, ma la sopravvivenza.
Si è andati progressivamente passando da un sistema elettorale all’altro, invariabilmente ognuno peggiorativo del precedente: mai si è visto che una democrazia abbia, nel giro di circa venti anni, visto 5 sistemi elettorali diversi. Di questa trasformazione, la destra è stata il principale attore ed il precursore. Ma il processo che ha portato alla nascita del PD, ed il suo attuarsi nel voler a tutti i costi creare un partito-contenitore nel quale, come in un supermercato, ognuno potesse trovare di tutto un po’, nel cercare di superare le dicotomie tra le diverse culture politiche di provenienza non nel confronto e nella discussione (col rischio di creare divisioni), ma nel loro accantonamento, ha prodotto il risultato di un partito a-politico, speculare a quello berlusconiano, indifferente alle scelte, ed invece sensibilissimo alla propria sopravvivenza.
L’ondata di comprensibile esecrazione per la politica, interpretata da Grillo e dai suoi in termini tali da renderla inutilizzabile ai fini di ogni processo democratico, ha determinato le condizioni per cui i due maggiori partiti abbiano visto indispensabile, ancora una volta, il cambiar le regole del gioco per preservare se stessi riconoscendo reciprocamente, come in una Yalta della politica, il rispetto delle relative sfere di influenza e dei relativi interessi vitali. Il PD, a parole, aveva esecrato il Porcellum, ma senza aver mai fatto nulla per cambiarlo; anzi, aveva fatto in modo da far fallire un referendum abrogativo, quello Passigli, che tendeva a realizzare qualcosa di molto simile a quanto poi è emerso dalla sentenza della Consulta. E, quando il Porcellum è stato smantellato dai giudici costituzionali, i due maggiori partiti hanno dovuto correre ai ripari per cercare congiuntamente la via per aggirare una sentenza che smantellava la costruzione artificiosa su cui essi si reggevano. Il seguito è cronaca di questi giorni, nota a tutti.
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