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Il segretario del Pd pronto a varare il suo primo Governo
Matteo Renzi e la discontinuità
Necessarie le riforme dello Stato, del fisco e del lavoro
Matteo Renzi
Matteo Renzi in questi giorni sta facendo un grande uso del termine “discontinuità”. Ma, come si può osservare in qualsiasi buon vocabolario, esiste un ampio elenco di possibili diversi significati per lo stesso termine. Sarà quindi opportuno cercare di entrare nel merito, e capire se la “discontinuità” di cui oggi si parla abbia lo stesso significato di quella di cui oggi ha senza dubbio bisogno il Paese. Per l’ormai ex sindaco di Firenze la partita si fa delicata: egli non deve più render conto solo alla direzione del suo partito, più che disposta a concedergli a stragrande maggioranza carta bianca senza che fossero stati valutati, discussi e votati le priorità e i contenuti della tanto celebrata “discontinuità”. Ora deve chiarire alle altre forze politiche e al Parlamento tutto (anche ai parlamentari del PD) quel che finora non ha saputo, o voluto, chiarire all’interno del suo partito. Forze politiche e Parlamento è probabile non si accontentino di 27 righe, enunciate in 20 minuti di intervento, e che pretendano invece venga reso chiaro cosa si intende per “discontinuità”. Infatti, se di discontinuità si vuol parlare, questa vada cercata in primo luogo nei confronti dell’ultimo ventennio, più che del Governo appena dimessosi che, in fin dei conti, di quel ventennio è conseguenza. E quindi, per sottrarre agli equivoci questo termine, più che prestabilire una durata, sarebbe opportuno concentrare l’attenzione su alcuni punti dai quali non è possibile prescindere ove si voglia rimettere in marcia il Paese per riavvicinarlo alle democrazie europee.
Girandosi un po’ da tutte le parti, le esigenze che si colgono, al di là di fare ripartire l’economia con seri interventi sul sistema fiscale e sul lavoro, sono: spostare il carico fiscale dall’imposizione indiretta e dalle accise all’imposizione diretta, che a sua volta non può non essere rimodulata in termini più equi tra i redditi medio-bassi, i redditi da impresa, la casa, da un lato, e rendite finanziarie e grandi patrimoni dall’altro lato; aver chiaro come sia interesse generale del Paese - e non solo di alcune categorie - quello di operare efficacemente per smantellare oligopoli, rendite di posizione, privilegi, in settori chiave per le famiglie e per le imprese: energia, trasporti, banche, assicurazioni; cancellare definitivamente le più illiberali tra le leggi del recente ventennio, già in parte smantellate da sentenze della Consulta (la Legge 40, la Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini), e tutelare diritti e libertà per ciò che attiene le coppie di fatto e le scelte di fine-vita; realizzare le necessarie riforme, ad iniziare da quelle relative al nuovo sistema elettorale ed alla ridefinizione dei ruoli delle due Camere al di fuori di ogni populismo semplificatorio e senza stravolgere quei principii di democrazia rappresentativa, partecipata, e fondata sul bilanciamento dei poteri dello Stato, che la Costituzione ha stabilito, e che nel recente ventennio sono stati largamente disattesi.
Su queste ed altre rilevanti questioni si deve aprire la discussione politica dei prossimi mesi; altrimenti, l’invocata discontinuità verrebbe a ridursi all’aver cambiato il timoniere, ma senza aver definito la rotta da seguire.
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